Le turbine rigenerate (parte I)
Questo contributo si inserisce nell’attuale dibattito sull’installazione di turbine eoliche rigenerate ed intende offrire alcuni chiarimenti di ordine tecnico/economico ad uso delle aziende fornitrici, dei committenti, del legislatore e del gestore dei servizi di rete. Esso riporta uno stralcio di aspetti che verranno trattati estesamente in uno speciale di prossima edizione dedicato alle turbine usate.
Negli ultimi anni è invalso l’uso di valutare l’impatto delle tecnologie per la generazione di energia sulla base del concetto della gestione del ciclo di vita del prodotto, o Product Life Cycle Management (PLM). Da questo punto di vista le turbine eoliche sono riconosciute per essere la tecnologia per la produzione di energia a più basso impatto ambientale. Sebbene la loro durata possa essere relativamente lunga (20-40 anni in funzione delle caratteristiche del sito e della turbina), per motivi di ordine tecnologico (obsolescenza) o economico (incentivazioni), un numero significativo di esse viene dismessa anzi termine. Per recuperare il massimo valore economico/ambientale di queste macchine ( si consideri che alcune parti come fondazioni, cavi, torre, ecc. hanno previsioni di vita che eccedono sicuramente i 20 anni), risulta di primaria importanza la pianificazione del fine servizio (end-of-service). Tre sono i possibili scenari che si possono presentare: i) l’adeguamento tecnologico; ii) la dismissione e smontaggio e il riciclaggio per il recupero di valore residuo del materiale; iii) la dismissione e re-installazione (con le operazioni di smontaggio, rigenerazione delle parti e successiva installazione su nuovi siti.
Negli ultimi anni è invalso l’uso di valutare l’impatto delle tecnologie per la generazione di energia sulla base del concetto della gestione del ciclo di vita del prodotto, o Product Life Cycle Management (PLM). Da questo punto di vista le turbine eoliche sono riconosciute per essere la tecnologia per la produzione di energia a più basso impatto ambientale. Sebbene la loro durata possa essere relativamente lunga (20-40 anni in funzione delle caratteristiche del sito e della turbina), per motivi di ordine tecnologico (obsolescenza) o economico (incentivazioni), un numero significativo di esse viene dismessa anzi termine. Per recuperare il massimo valore economico/ambientale di queste macchine ( si consideri che alcune parti come fondazioni, cavi, torre, ecc. hanno previsioni di vita che eccedono sicuramente i 20 anni), risulta di primaria importanza la pianificazione del fine servizio (end-of-service). Tre sono i possibili scenari che si possono presentare: i) l’adeguamento tecnologico; ii) la dismissione e smontaggio e il riciclaggio per il recupero di valore residuo del materiale; iii) la dismissione e re-installazione (con le operazioni di smontaggio, rigenerazione delle parti e successiva installazione su nuovi siti.
La terza opzione, sulla quale si focalizza questa sintesi, riguarda un impianto che ha operato in un sito eolico per un certo numero di anni e che viene smontato per essere re-installato su altri siti. Tale pratica è in uso da decenni per ogni tipologia di impianto di produzione elettrica, motori diesel, turbogas, ecc. e da qualche anno si sta rapidamente estendendo anche al settore eolico, spesso ad opera delle stesse case costruttrici di macchine nuove. In un recente convegno specifico sul tema (19th CIRP Conference on Life Cycle Engineering, Berkeley, USA, 2012) questa pressi è indicata come una delle “leveraging technology for a sustainable world”.
La reinstallazione viene preceduta da varie operazioni di ‘rifacimento’, sulle quali esiste molta confusione e sulle quali va fatta chiarezza. |
Applicando la terminologia contrattualistica utilizzata nel più generale comparto industriale, si riconoscono tre livelli di intervento: la revisione (refurbishing), il ricondizionamento (reconditioning) e la ricostruzione (remanufacturing o rebuilding). Con revisione (refurbishing) si intendono quegli interventi messi in atto per portare le macchine in condizioni operative o semplicemente solo per renderle esteticamente più accettabili. Questi interventi riguardano in genere modelli di turbine obsolete. Spesso per molti componenti si può solo effettuare questo livello di intervento in quanto non esistono più i pezzi di ricambio. Con ricondizionamento (reconditioning) si indicano operazioni di ripristino funzionale e di riparazione di componenti al fine di portarli ad un livello operativo quasi pari a quello presente nella macchina originaria. I prodotti ricondizionati riguardano modelli più recenti e il risultato dell'intervento garantisce uno stato funzionale della macchina migliore rispetto a quella semplicemente revisionata.
Con il termine rigenerazione (remanufacturing o rebuilding) infine si intende la ricostruzione o il ripristino intero/parziale di componenti e dispositivi per soddisfare (o in certi casi superare) le prestazioni indicate del costruttore originario (Original Equipment Manufacturer's OEM). Tali turbine sono vendute di solito da parte di terzi e hanno una garanzia diversa da quella fornita dall’OEM. Ovviamente esistono diverse gradazioni all’interno di questa classificazione. Ad esempio si può incontrare una situazione in cui il generatore elettrico è stato sostituito con uno nuovo (unitamente alla parte elettrica ed elettronica) mentre pale e moltiplicatore di giri sono stati solo revisionati.
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Ciò pone in luce come i termini di acquisto di un prodotto 'usato' vadano analizzati con attenzione e debbano essere richieste chiare indicazioni sulle operazioni di ripristino effettuate. Oltre a questo si innesta poi il problema delle condizioni di garanzia e di manutenzione, che sono ovviamente differenti da quelle della macchina nuova. Per quanto riguarda la garanzia dell’usato essa legalmente deve avere durata pari a quella del nuovo (1 o 2 anni) per la totalità della turbina; quello che cambia è la prosecuzione dei termini di garanzia per taluni componenti. Le parti soggette ad usura e degradazione per uso (cuscinetti, moltiplicatore di giri, motori elettrici o oleodinamici, pale, ecc.) sono già stati soggetti a carichi di lavoro che ne hanno ridotto la vita residua sul sito originario di provenienza. Il fornitore non è obbligato a sostituire o riparare alcune parti una volta scaduto il termine utile per la notificazione dei difetti (Defect Notification Period) che in genere è di 12 mesi, per cui si esclude la responsabilità per i cosiddetti difetti evergreen (ovvero quelli che nascono da fenomeni di usura nel tempo). L’argomento è comunque assai delicato e controverso, per cui si rimanda ad un ulteriore articolo di approfondimento. E’ dunque evidente, passando al tema della manutenzione, che il numero degli interventi programmati e straordinari è necessariamente maggiore rispetto alla turbina nuova a causa della via via minore affidabilità di alcuni componenti, con conseguenti maggiori costi. Con trascorrere degli anni inoltre la disponibilità sul mercato di talune parti si riduce e di conseguenza si pone l’ulteriore problema di predisporre le scorte dei principali pezzi di ricambio. Tale problema risulta attenuato se il contratto di manutenzione è fatto con la casa costruttrice. E’ fondamentale quindi il ricorso a soggetti qualificati per effettuare le operazioni di rifacimento, l’adozione di una procedura codificata/certificata per tali operazioni, il rilascio di una dichiarazione dei lavori eseguiti che possa servire come documento di garanzia (Expert Advise Report) e un contratto di manutenzione (service and maintenance) possibilmente con il costruttore originario.
Contrariamente a quanto avviene negli altri settori della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e non, dove frequentemente si incontrano operazioni di repowering, ovvero processi di sostituzione di impianti di produzione di energia elettrica obsoleti con altri di tecnologia più recente aventi una maggiore potenza o una maggiore efficienza, il settore eolico, in particolare modo in Italia, è soggetto, in occasione del rifacimento, a operazioni di derating ovvero di riduzione della potenza della turbina attraverso la sostituzione del generatore o il riavvolgimento di quello originario (il semplice depotenziamento via software non è ammesso da GSE). Questa scelta è effettuata nel settore minieolico per rientrare all’interno delle fasce di potenza che beneficiano delle tariffe incentivanti, per cui tipicamente turbine originariamente della potenza di 100/150 kW vengono portate a 60 kW o turbine da 300/500/600 kW vengono portate a 200 kW. Per inciso questa prassi mette a nudo in maniera evidente l’incompletezza e le distorsioni indotte dell’attuale approccio normativo che basa i criteri di incentivazione solo sulle classi di potenza. Paradossalmente questa operazione, che nasce con l’intento primario di acquistare una turbina ad un costo assai inferiore rispetto al nuovo, determina un aumento del rapporto area spazzata/taglia del generatore con benefici effetti sulla produzione elettrica. Ne consegue che tali macchine depotenziate dichiarano produzioni annue del 30-40% superiori a quelle delle turbine nuove con costi che ne sono una frazione, per cui il tempo di payback risulta (sulla carta) essere di 2-3 anni per turbine revisionate o 3-5 anni per turbine ricostruite, rispetto ai 8-12 delle macchine nuove. Va precisato a questo punto che tale vantaggio esiste in realtà solo a determinate condizioni. La prima è che la turbina abbia subito almeno un processo di ricondizionamento dei componenti principali (pale, cuscinetti, motori e generatore) e di corretto ri-settaggio del controllo per garantire la prestazione dichiarata della curva di potenza, la seconda che tale stato possa essere mantenuto per gli anni di funzionamento previsti (contratto di manutenzione), la terza che si possa stipulare un contratto assicurativo di business interruption per fermi macchina derivati da guasti (mancata produzione), la quarta che la macchina soddisfi i requisiti normativi per l’allacciamento ed esercizio (CEI 021, CEI 061, CEI EN 62061, ecc.).
Contrariamente a quanto avviene negli altri settori della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e non, dove frequentemente si incontrano operazioni di repowering, ovvero processi di sostituzione di impianti di produzione di energia elettrica obsoleti con altri di tecnologia più recente aventi una maggiore potenza o una maggiore efficienza, il settore eolico, in particolare modo in Italia, è soggetto, in occasione del rifacimento, a operazioni di derating ovvero di riduzione della potenza della turbina attraverso la sostituzione del generatore o il riavvolgimento di quello originario (il semplice depotenziamento via software non è ammesso da GSE). Questa scelta è effettuata nel settore minieolico per rientrare all’interno delle fasce di potenza che beneficiano delle tariffe incentivanti, per cui tipicamente turbine originariamente della potenza di 100/150 kW vengono portate a 60 kW o turbine da 300/500/600 kW vengono portate a 200 kW. Per inciso questa prassi mette a nudo in maniera evidente l’incompletezza e le distorsioni indotte dell’attuale approccio normativo che basa i criteri di incentivazione solo sulle classi di potenza. Paradossalmente questa operazione, che nasce con l’intento primario di acquistare una turbina ad un costo assai inferiore rispetto al nuovo, determina un aumento del rapporto area spazzata/taglia del generatore con benefici effetti sulla produzione elettrica. Ne consegue che tali macchine depotenziate dichiarano produzioni annue del 30-40% superiori a quelle delle turbine nuove con costi che ne sono una frazione, per cui il tempo di payback risulta (sulla carta) essere di 2-3 anni per turbine revisionate o 3-5 anni per turbine ricostruite, rispetto ai 8-12 delle macchine nuove. Va precisato a questo punto che tale vantaggio esiste in realtà solo a determinate condizioni. La prima è che la turbina abbia subito almeno un processo di ricondizionamento dei componenti principali (pale, cuscinetti, motori e generatore) e di corretto ri-settaggio del controllo per garantire la prestazione dichiarata della curva di potenza, la seconda che tale stato possa essere mantenuto per gli anni di funzionamento previsti (contratto di manutenzione), la terza che si possa stipulare un contratto assicurativo di business interruption per fermi macchina derivati da guasti (mancata produzione), la quarta che la macchina soddisfi i requisiti normativi per l’allacciamento ed esercizio (CEI 021, CEI 061, CEI EN 62061, ecc.).